Per Sant’Efisio Capoterra ritorna “in tracca”. Rinasce quest’anno un’antica tradizione da tempo trascurata

La tracca di Capoterra allestita da Mario Farigu nel 2004

La tracca di Capoterra allestita da Mario Farigu nel 2004

Sabato 30 aprile, al termine della messa celebrata alle 18, il parroco di Capoterra don Sandro Zucca si recherà con i fedeli presso Casa Baire, in via della Vittoria, per impartire la benedizione e presentare al pubblico la tradizionale “tracca” che il paese il 1 maggio torna a inviare alla festa di Sant’Efisio, dopo dodici anni di assenza.

La “tracca” (carro addobbato e attrezzato come “casa viaggiante”), può ritenersi il principale simbolo di questa solenne cerimonia religiosa che, essenzialmente, consiste in un pellegrinaggio votivo fino al luogo del martirio e della sepoltura del santo, presso l’antica città di Nora (Pula).

La festa di maggio trae infatti origine da un voto della Municipalità cagliaritana, formulato durante l’imperversare di una disastrosa epidemia di peste, a metà Seicento, prendendo in parola il martire il quale, prima di essere decapitato, in virtù del suo sacrificio chiese a Dio che chiunque si fosse recato a pregare sulla sua tomba potesse ottenere il dono della salute e ogni altra grazia. Per l’adempimento della promessa fu preferita la ricorrenza primaverile del 3 maggio, festa della conversione di Sant’Efisio, a quella del 15 gennaio, festa del suo martirio, più solenne ma soggetta alle incertezze del clima invernale.

All’epoca il territorio dell’antica Nora era da tempo disabitato, a causa della costante minaccia rappresentata dalle incursioni dei pirati barbareschi, per cui l’effettuazione del pellegrinaggio, che prevedeva lo spostamento di una considerevole massa di persone seguita da un’adeguata scorta armata a cavallo, con un viaggio della durata di più giorni, richiedeva una complessa organizzazione logistica.

I pellegrini, che sul luogo non potevano contare di strutture ricettive, dovevano quindi partire portandosi dietro tutto il necessario a un soggiorno di almeno tre o quattro giorni, e allo scopo i carri a buoi normalmente utilizzati per i lavori agricoli, coperti con teloni, venivano caricati di viveri e masserizie.

Ecco dunque l’origine della “tracca”, sorta di antenata dei moderni campers o roulottes, che il cerimoniale antico dei festeggiamenti in onore di Sant’Efisio ha comunque voluto conservare, seppure ormai completamente svuotata di ogni funzione pratica, riconoscendo in essa l’immagine più efficace e diretta della propria intima essenza.

Capoterra, risorta negli stessi anni della tragica pestilenza (9 maggio 1655) e quindi posta dal suo fondatore, don Jeronimo Torrellas, sotto la diretta protezione del santo al quale Cagliari aveva appena votato la propria salvezza, imponendole perfino il beneaugurate nome di “Villa Nueva de Sant Efis de Caputerra”, ha avuto parte diretta nei tradizionali adempimenti votivi fin dal loro inizio, mantenendovi poi ininterrottamente un ruolo di primo piano anche in virtù della specifica intitolazione della sua parrocchia proprio a Sant’Efiso: caso unico nella diocesi di Cagliari e rimasto a lungo isolato anche nel resto della Sardegna.

Copertina di una fortunata pubblicazione sul folklore sardo - Tracca capoterra 1981

Copertina di una fortunata pubblicazione sul folklore sardo – Tracca capoterra 1981

A rappresentare questa antica fedeltà al santo, Capoterra da oltre 40 anni – con la nascita dell’Associazione Folklorica e Culturale “Sa Scabitzada” – partecipa alla sfilata del 1 maggio a Cagliari con una propria rappresentanza vestita dell’abito tradizionale.

Successivamente, grazie all’impegno di vari “carradoris” locali (tra i quali si ricorda in particolare Antonio Casula), il paese cominciò a portare in processione anche la sua “tracca” ma la lodevole consuetudine si era purtroppo interrotta, nel 2004, a motivo dell’ormai troppo avanzata età dell’ultimo di essi, Mario Farigu, venuto a mancare proprio alcuni mesi or sono.

Quest’anno, grazie all’impegno di un numeroso e affiatato gruppo di volontari, formatosi nell’ambito della parrocchia su impulso di don Zucca, in collaborazione con il gruppo “Sa Scabitzada” si è voluto far rivivere la bella e significativa usanza.

Nella corte porticata della casa padronale appartenente alla famiglia Baire, così, dal mese di gennaio in avanti, al rientro dai rispettivi impegni lavorativi quotidiani, una decina di amici si sono affaccendati a costruire la struttura portante, prima, e a realizzare la complessa decorazione fatta di tappeti, drappi, rose e “carenas de mutta” (festoni di mirto) all’antica, poi, di questo carro destinato a trasportare simbolicamente qualcosa di immateriale ma non meno prezioso: la fede, l’amore e la devozione di Capoterra verso il proprio patrono Sant’Efisio nella più solenne delle ricorrenze festive a lui dedicate.

Le quindici persone che viaggeranno sul carro, precedendo il cocchio del martire la mattina del 1 maggio dalla chiesa di Sant’Efisio a Stampace a quella di Giorgino, e nel pomeriggio da La Maddalena Spiaggia a Su Loi, indosseranno l’abbigliamento tradizionale di Capoterra che recenti ricerche, tuttora in corso, hanno consentito di inquadrare armonicamente nel più vasto contesto vestimentario proprio di tutti i centri del campidano di Cagliari e suoi immediati dintorni. Per le donne spiccano “is gunnedas de abodrau” portate con o senza giacchino (“baschina” o “spensu”) e, a coprire il capo, preziosi scialli in seta policroma o a ricchi ricami floreali; si segnalano inoltre “sa gunneda de seda” e l’abito in velluto rosso e blu, di rielaborazione moderna, che dai primi anni Settanta, nel bene e nel male, è divenuto caratteristico del paese. Per gli uomini, con le tradizionali “ragas” in orbace, i corpetti sono tagliati nel velluto viola arricchito da applicazioni geometriche in passamaneria dorata, nel “terciopelo” o nel broccato pure viola a decoro floreale, e nel panno nero.

Durante il tragitto i pellegrini, a sottolinearne la natura religiosa, intoneranno anzitutto il canto del rosario in lingua sarda, come d’uso in tutte le processioni che si svolgono nella nostra isola, secondo la particolare tonalità capoterrese; a conclusione di ogni terza parte della corona, ristabilendo un uso decaduto ormai da più di un secolo, verrà ogni volta intonato il “Deus ti sàlvidi, Maria”, in lingua sarda campidanese e nel tono musicale suo proprio.

Forse non tutti sanno, infatti, che il canto sardo oggi forse più famoso, il “Deus ti salvet, Maria”, costituisce non un componimento originale ma la traduzione in versi di una parafrasi dell’Ave Maria in latino, realizzata dal poeta gesuita Innocenzo Innocenti, di Todi, che la pubblicò nella sua “Dottrina cristiana spiegata in versi” (Macerata 1681).

Attorno al 1730 un altro gesuita, il padre Giovanni Battista Vassallo, concepì a Cagliari il disegno di coinvolgere l’intera Sardegna in una grande missione popolare: ambizioso progetto di rievangelizzazione sistematica della popolazione isolana inteso a conseguirne una più consapevole e partecipata adesione alle verità del cristianesimo.

Le missioni prevedevano che alcuni religiosi, specificamente preparati alla predicazione e alla confessione, si recassero di volta in volta nei vari centri abitati coinvolgendo per più giorni le comunità locali nel loro apostolato che, per guadagnare in efficacia, si svolgeva utilizzando anche il supporto di musiche, canti e sacre rappresentazioni teatrali.

Il padre Vassallo, dovendosi provvedere di un “libretto di canti” adatto alle proprie esigenze pastorali, ebbe l’idea di far tradurre in versi sardi la raccolta poetica pubblicata mezzo secolo prima dal confratello padre Innocenti, e siccome le missioni popolari da lui promosse ebbero inizio a partire dai centri limitrofi alla capitale sarda, è molto verosimile ritenere che il “Dio ti salvi, o Maria” originale sia stato tradotto prima in lingua sarda campidanese e, solo in un secondo momento, anche in logudorese.

Quest’ultima versione è stata poi l’unica rimasta in uso, universalmente adottata in tutta l’isola, anche grazie alla prestigiosa interpretazione discografica, splendida e ricca di suggestioni arcane, datane negli anni Sessanta da Maria Carta; la versione campidanese, comunque, continuò ad essere pubblicata in appendice alle diverse edizioni in lingua sarda meridionale del catechismo cattolico fino al tardo ’800, cadendo poi in disuso probabilmente a partire dall’inizio del secolo scorso.

Un altro ormai poco usuale canto che accompagnerà la “tracca” di Capoterra nel suo tragitto è lo “Iandemironai”, che alterna un ritornello nonsense a una serie indefinita di quartine a rima alternata. Alla metà del XIX secolo, quando il repertorio etnomusicale sardo cominciò ad attirare l’attenzione degli studiosi, poiché il ritornello di questo canto contiene anche il sintagma “Annira Annora” si pensò che esso serbasse memoria di un antico riferimento alla città di Nora, e che quindi la sua origine potesse essere fatta risalire fino all’età punico-romana. Volendo pensare che, in ogni caso, una qualche attinenza tra il misterioso ritornello e il luogo del martirio di Sant’Efisio sia realmente esistita, si è dunque deciso di riproporlo in questa occasione, simbolicamente, a corredo di alcune quartine – “muttettus” – il cui “sterrimentu”, vale a dire i primi due versi, contemplino comunque un’invocazione o un richiamo al martire.

A chiudere, secondo tradizione, il canto dei “goccius” che sintetizzano la biografia e celebrano le lodi del martire guerriero.

A conclusione di tanta fatica e di tanto impegno, da parte nel complesso di oltre trenta persone, è l’auspicio che da quest’anno in avanti, per Capoterra, la partecipazione anche per mezzo della “tracca” al pellegrinaggio votivo in onore di Sant’Efisio, dal 1 al 4 maggio, ritorni ad essere come nel passato una costante e irrinunciabile consuetudine.

Mauro Dadea

Responsabile per le ricerche etnografiche

Associazione Folklorica e Culturale “Sa Scabitzada” – Capoterra

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