Undici punti critici, undici cause che hanno provocato il disastro di Capoterra del 22 ottobre scorso con quattro morti e centinaia di case distrutte. Circoscritte le responsabilità partono dagli anni Cinquanta, quando venne realizzata la diga sul San Girolamo. Fino a tempi recenti, quando il ponte della morte che separa le due aree abitate di Poggio dei Pini
è stato ricostruito ancora una volta sotto l’invaso di terra da cui è venuta giù l’onda d’acqua. Il colossale lavoro di ricostruzione e di raccolta degli atti concluso in meno di dodici mesi dal nucleo ispettivo del Corpo Forestale sarà consegnato nella stesura
definitiva lunedì prossimo ai pubblici ministeri Daniele Caria e Guido Pani
insieme a tre faldoni di documenti. Non riporta nomi e cognomi dei
presunti responsabili del disastro – si indaga per omicidio colposo
plurimo – ma abbraccia un insieme di enti e amministrazioni che va
dal Genio Civile al comune di Capoterra nelle sue varie e successive
configurazioni politiche. Settanta pagine di verbali con riferimenti
a documenti e mappe, un abbecedario di errori clamorosi e di
sciatterie tecniche che secondo la Forestale sarebbe all’origine dell’alluvione
e delle morti conseguenti. Come dire: il destino non c’entra, a
favorire morte e devastazione sono state le scelte di tecnici,
amministratori, impresari e lottizzatori locali compreso l’autore del piano di
fabbricazione che ha generato la bulimia cementizia dell’area di
Capoterra. Un dato su tutti: ancora trenta-quaranta minuti di
pioggia e la diga di Poggio dei Pini avrebbe collassato. L’hanno certificato
i consulenti di Torino sentiti dagli investigatori e lo scrivono i
forestali nel rapporto alla Procura. Ha ceduto solo un quinto
dell’argine, ma quando il diluvio s’è interrotto la barriera era
zuppa d’acqua, una marmellata di terra prossima a liquefarsi. Sul centro
di Poggio dei Pini sarebbe piombata una cascata spaventosa, con rischi
facili da immaginare. Quindi c’è quasi da rallegrarsi: poteva andare
molto peggio. D’altronde che quella diga fosse un punto ad alto
rischio si sapeva. Eppure il Pai – piano di assetto idrogeologico –
non l’aveva classificata: come se non esistesse. Ma c’era. Come c’era
il ponte, quell’incredibile ponticello messo in piedi proprio sotto
la struttura di contenimento dell’invaso. Nessuno in un appartamento
piazzerebbe il letto proprio sotto il diffusore della doccia. A
Poggio dei Pini sì, hanno creato un crocevia ai piedi di un bacino idrico
in equilibrio instabile. Oltre al ponte una strada, quella che filava e
ancora fila lungo il rio San Girolamo, una strada incollata all’
argine del fiume e sotto la diga. Non doveva essere costruita lì, strada e
ponte dovevano essere altrove ma una variante al progetto firmata
dal comune di Capoterra nel 1979 ha dato il via libera a quel refuso
ingegneristico. Ed è lì – e non può essere un caso – che l’auto del
dirigente dell’Asl 8 Antonello Porcu con la suocera Licia Zucca è
stata travolta dall’acqua e trascinata nel letto del fiume. Perché
la diga, che è una diga e null’altro, doveva essere almeno protetta con
un sistema idraulico di sicurezza. Ma non c’era e nessuno – neppure
l’attuale amministrazione comunale – ha pensato di realizzarlo.
Neppure dopo le alluvioni del 1999 e del 2004. Come la strada lungo
il San Girolamo: danneggiata cinque anni fa è stata rifatta ancora più
larga, da due a ventiquattro metri. Con la firma e i timbri,
progetto di un tecnico incaricato dal comune di Capoterra che ha pagato con
una denuncia. Non è finita: la cooperativa Poggio dei Pini ha realizzato
il centro sportivo, campo di calcio, tennis e club house proprio
nell’ansa del fiume, quasi sull’alveo. Non è un caso che proprio lì ,
fra detriti e fanghiglia, i vigili del fuoco abbiano trovato il
corpo di Porcu, trascinato dalle acque del rio che vanno in parallelo con
la strada. Perché la natura segue i suoi percorsi, senza curarsi delle
deviazioni ignoranti imposte dall’uomo. Poi i ponti, costruiti e
ricostruiti con l’assenso del Genio Civile: quello di Poggio dei
Pini, danneggiato dall’alluvione del 1999, è stato rifatto nello stesso
punto. Forti dubbi anche su quello che è costato la vita
all’insegnante di Iglesias Annarita Lepori, sulla strada di Pula.
Secondo la Forestale le dimensioni non corrispondono agli standard
di sicurezza, riferiti al rischio di alluvioni come quelle degli ultimi
anni. Infine le case, realizzate in un’area ad alto rischio
idrogeologico. Costruite con tutte le autorizzazioni e vendute a
prezzi di saldo: i villaggi di San Girolamo e di Frutti d’Oro hanno
arricchito generazioni di impresari e progettisti per poi impoverire
di colpo centinaia di famiglie. Qui le responsabilità penali saranno
più difficili da accertare. Ma la Procura andrà avanti, grazie al
lavoro fondamentale condotto dal Corpo Forestale. Concluso il lavoro
di raccolta e di verifica, i pubblici ministeri disporranno le
consulenze tecniche. Mentre la Forestale sarà impegnata agli
approfondimenti necessari per individuare nomi e cognomi dei
responsabili. Non sarà un lavoro breve, ma l’impressione è che il
disastro del 22 ottobre non resterà senza colpevoli.
di Mauro Lissia
da La Nuova Sardegna dell’08-10-09