Spazio (In)visibile è lieto di presentare:
BLOCKHAUS – mostra personale di Gildo Atzori
A cura di Efisio Carbone
Quando: dal 7 al 28 maggio
Dove: Spazio (In)visibile, via Barcellona 75, quartiere Marina, Cagliari
Orari: giovedì, venerdì, sabato ore 19-21
Vernissage sabato 7 ore 19
In occasione del vernissage si assisterà ad una performance musicale dal titolo:” Blackbird Fly”,
messa in scena dal musicista Enrico Marongiu e dal performer Luigi Atzori.
L’artista Gildo Atzori presenta una serie di lavori a china su tela di diverse dimensioni, per un totale di 11 pezzi, più alcune sculture.
Le opere, inedite, sono state realizzate per la mostra e verranno inserite in uno spazio reso simile a una Blockhaus (Bunker).
Breve biografia
Gildo Atzori,nativo di Capoterra, si interessa di arti visive e musica.
Nel corso della sua attività artistica ha lavorato con materiali inusuali e di recupero, seguendo un percorso
stilistico che guarda alla materia e agli elementi naturali come conduttori di significati.
Nell’ambito del disegno e del fumetto, predilige uno stile realistico con una forte attenzione al dettaglio.
Testo critico
Blockhaus –spazio mistico contemporaneo
Il mondo è una prigione dove è preferibile stare in una cella d’isolamento.
(Karl Kraus)
Dio salvi la Regina!.. (Tra le pareti squadernate di una blockhaus o bunker di qualsiasi luogo in qualsiasi tempo contemporaneo)…quando non c’è futuro come può esserci peccato? Così echeggia un vecchio disco dei Sex Pistols il cui oltraggioso variopinto Punk è stato assorbito nei suoni metallici e rumorosi dell’era post-industriale: le luci sono quelle artificiali, lo spazio è claustrofobico a molti metri di cemento dall’aria aperta.
Il sonno è sempre lo stesso: genera mostri, dai tempi di Goya; ci riferiamo alla ragione obnubilata dalla paura che ha generato luoghi come questo per difesa-offesa raggiungendo il culmine allucinatorio in piena Guerra Fredda quando quasi ogni buona famiglia americana costruìun rifugio dove nascondersi in caso di attacco nuclearedopo aver osservato, a distanza, il terribile risultato delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Siamo al punto esclamativo della storia che pone termine a una frase epocale di manifesta violenza, direbbe H.M. Mcluhan.
Che sia quindi un fortino o una safe room, quest grotta d’Altamira post-atomica è proposta da Gildo Atzori come ultima traccia di civiltà.
L’artista sostituisce alle pitture rupestri il linguaggio contemporaneo del fumetto in una forma libera dagli schemi e le strutture convenzionali per un racconto più simile a uno zibaldone di pensieri i cui significanti e significati possono sfuggire, e forse avrebbero bisogno di un glossario, ma questo poco importa davanti a un codice figlio del suo tempo che costruisce ipertesti giustapposti in uno spazio metafisico che rimanda a quello virtuale. “La mia opera è una sorta di diario in cui annoto tutto quello che mi accade” disse Raushenberg in un’intervista del 1968, a noi pare che Gildo operi nella stessa maniera, sommando all’elemento empirico quello speculativo, in una sorta di cut-up di matrice dadaista riconducibile direttamente alla musica Industriale. Alla stessa sembrano richiamare le tematiche choc che si intrecciano con le fonti da cui attingono gli artisti del Pop Surrealismo o del Low Brow ossia quei modelli di altra-cultura che si contrappongono all’ispirazione accademica: “Attingiamo dalla storia dell’illustrazione, dai libri di fumetti, dalla fantascienza, dalle locandine dei film, dagli effetti speciali usati dal cinema, dai poster musicali, dall’arte psichedelica e punk rock (…) dai miriadi di altre forme di arte il più “popolari” possibile.”(R. Williams)
Ma Gildo è comunque un talentuoso fumettista e da questo non possiamo prescindere nell’osservazione dei teleri che assomigliano più a pagine strappate da un antico trattato, una sorta di Speculum Majus, del quale son sopravvissuti solo pochi fogli, che a delle opere pittoriche. Il flusso di coscienza attraversando i lavori da una parte all’altra della blockhaus inquadra alcuni elementi definibili come leitmotivnarrativi (teste antropomorfe, scritte, ramificazioni..) dal significato semantico polivalente; notevoli anche le citazioni tra cui il celebre graffito “Kilroy was here” figlio della Seconda Guerra Mondiale, oggi patrimonio indiscusso della cultura pop.
Lo spazio espositivo è altresì percorso da sculture galleggianti più simili a elementi ricavati dall’artiglieria pesante; tutto contribuisce a creare un senso di spaesamento che richiede notevole concentrazione. Ed è a questa concentrazione che l’artista mira: non dice forse lo stesso Goya che la fantasia priva della ragione produce impossibili mostri ma unita alla ragione è madre delle arti e origine di meraviglie? Dietro la composizione visionaria deilavori, simili a terzine nostradamiche il cui senso non è mai interpretabile con sicurezza, si nasconde un lavoro calligrafico sapientemente costruito; estremo equilibrio, capacità narrativa, padronanza dei mezzi governati da solida e matura esperienza, trasformano i “mostri” in “meraviglie” e la Blockhaus in uno studiolo dedicato alla meditazione, come è accaduto al bunker di Tito oggi convertito in galleria d’arte e sede della prima Biennale bosniaca. A noi sembra che la mostra, o meglio, l’istallazione, sia profusa di una speranza : tutte le blockhaus del mondo, reali o mentali che siano, possono trovare nell’arte e nella Cultura i mezzi per impedire alla paura di continuare ad erigerle.
Efisio Carbone.