D 10: Anche noi siamo stati emigranti e forse lo saremo ancora…

Come tutti sanno in questi giorni la nostra città ospita un importante vertice, il D 10. La Manifestazione, fortissimamente voluta dal Ministro Parisi, richiamerà nel nostro capoluogo regionale la partecipazione di 10 Ministri della Difesa di Paesi che si affacciano più o meno direttamente sul Mediterraneo (Italia, Francia, Spagna, Marocco, Mauritania, Portogallo, Tunisia, Libia, Malta ed Algeria). La scelta di Cagliari, avrebbe potuto suggellare la consacrazione della “Capitale del Mediterraneo”. Dico “avrebbe potuto” se i Ministri fossero stati diversi e riferiti ad altro dicastero. Penso ad esempio alle politiche sociali, agli esteri o alla cooperazione internazionale. Infatti non si comprende che bisogno c’era di dare questo taglio ai lavori.
Non è giusto militarizzare il problema dei flussi migratori e le misure per la loro prevenzione perché, nella stragrande maggioranza dei casi, non si ha a che fare con terroristi ma con esseri umani disperati, spesso anche donne e bambini, che mettono in gioco la propria esistenza e i propri affetti nella speranza di un futuro accettabile. Quindi, perché militarizzare un problema che è sostanzialmente etico e sociale? L’atteggiamento da noi utilizzato, spesso repressivo ed ostativo che sembra contraddistinguere l’azione delle autorità occidentali, non può essere considerato la “panacea” di ogni male, semmai un costante modo di procrastinare la “probabile soluzione del problema” che, se non adeguatamente affrontato, sarà destinato a generare sempre maggiori tensioni e contrapposizioni fra i popoli, fino all’inevitabile scontro per la sopravvivenza. Peraltro i flussi migratori sono sempre esistiti e il più delle volte senza armi. Pensate a tutti quei popoli che per vari motivi hanno dovuto abbandonare il loro originario terriorio.
Dagli ebrei guidati da Mosè, ai palestinesi e per finire agli italiani (soprattutto del sud) che alla fine dell’ottocento e i primi del novecento hanno invaso le Americhe, l’Europa Centro settentrionale e l’Oceania. Quindi, anche noi, oggi primaria potenza economica occidentale, dobbiamo avere l’onestà di guardarci indietro e ricordare che “solo chi no ha sa’ ciò che perde!”. Solo in questo modo potremo affrontare il grave problema a cui siamo quotidianamente chiamati. Ovvero l’emigrazione. Se così facessimo, probabilmente, guarderemmo con altro spirito queste decina di migliaia di persone che, provenienti soprattutto dal nord Africa, cercano una soluzione ai loro drammatici problemi, affrontando dei pericolosissimi viaggi che non garantiscono alcun risultato, tanto meno il ritorno certo alla proprie case e ai propri affetti. Quindi, perché affrontare il problema facendo ricorso ai militari e alle forze dell’ordine? Certo, con questo non si vuole dire che questi organi non vi debbano essere, ma solo farle intervenire solo quando ne ricorrono i presupposti. Ovvero ai soli casi di effettiva necessità, anche a fini preventivi (terrorismo, traffico di armi, droga, induzione alla prostituzione e schiavitù) e non generalizzata a mansioni e competenze che non afferiscono al proprio “status”. Del resto, che ci stanno a fare le organizzazioni del III settore Onlus, ONG, Cooperative sociali? Anche la protezione civile potrebbe svolgere un importante ruolo a questo proprosito. Penso ad esempio all’accoglienza e alla logistica. Per quanto esposto si ritiene che le problematiche che vengono discusse in questo vertice dei 10 debbano essere affrontate con la consapevolezza e senso di responsabilità. Solo in questo modo, attraverso la corretta presa di conoscenza e di coscienza da parte di tutte le istituzioni e dei cittadini europei, il dibattito potrà essere positivamente sviluppato. I flussi migratori clandestini si combattono nei luoghi di origine della crescente domanda di espatrio. La malavita che organizza i viaggi della disperazione la si combatte in loco, unitariamente da parte di tutti i Paesi UE, non da un singolo Stato occidentale, attraverso dei funzionali accordi con i Paesi di origine dei flussi, che consentano il reale trasferimento di strategie, risore economiche ed umane.
Questa volta, però, evitiamo di esportare modelli autoreferenziali, neo colonialisti, ma solo umanità, spirito di iniziativa, buon senso e tanto rispetto per le altre culture. Del resto se vogliamo avere tutti un futuro la globalizzazione, ammesso che questo termine abbia un senso, la si deve intendere solo così.

Roberto Copparoni
per Amici di Sardegna

Immagini collegate: