«Noi non ci fermeremo anche se vi è la possibilità che si voglia tenere nascosta la verità su come è morto Aldo». L’avvocato della famiglia Scardella, Rosa Federici promette di perseguire con tutti mezzi legali quella giustizia negata. Vicino a lei Cristiano, fratello di Aldo. La vicenda del ventiquattrenne, morto suicida da innocente il 2 luglio del 1986 dopo 185 giorni di segregazione in stato di isolamento a Buoncammino, continua a destare scalpore. Un errore giudiziario, si chiama così, costato la vita ad un giovane e che ha segnato per sempre quella di sua madre e di suo fratello. Dopo la sua morte, dopo la cattura dei tre uomini che il 23 dicembre del 1985 assassinarono il titolare di un market, nessuna scusa, nessun risarcimento. È dal ricordo di Aldo che prende il via il dibattito “Le urla dal di dentro Morte, Suicidio e Malagiustizia”, coordinato da Massimiliano Rais, avvenuto sabato nella sala Cosseddu della casa dello studente di Cagliari e organizzato dall’Associazione Studentesca “Antonio Gramsci e dall’Associazione 5 Novembre “Per i diritti Civili” con il patrocinio dell’Ersu Cagliari. È sempre dal ricordo del giovane che parte la richiesta da parte dell’avvocato di istituire una supercommissione, garante dei diritti dei detenuti e dei loro familiari. Un ricordo che riporta alla dura analisi della condizione carceraria attuale e dell’elevato numero di suicidi in concomitanza con la visita avvenuta la mattina al carcere di Buoncammino, del deputato dei radicali della Commissione Giustizia, Rita Bernardini, da Cristiano Scardella e Francesca Dragovinich, sorella di un detenuto morto. Il sovraffollamento nel carcere di Buoncammino è solo la punta di un iceberg: sono 33 i suicidi avvenuti solo nel 2010 in Italia, inoltre non c’è personale a sufficienza. Per ogni 80 detenuti è presente 1 solo agente. Una denuncia che parte dallo stesso comandante della Polizia Penitenziaria C.C. Buoncammino Michela Cangiano. Per chi finisce in carcere, inoltre, la percentuale di recidività è del 70%, dato che diminuisce sostanzialmente quando il detenuto viene inserito in comunità adeguate o svolge un lavoro all’interno del carcere. Con l’abbassamento della recidività vi sarebbe un risparmio di 5 milioni di euro per i cittadini ai quali ogni giorno di detenzione costa 300 euro.
Bettina Camedda