Rugby Capoterra: finalmente si ricomincia

… E ancora soffia il maestrale. In questa torrida estate. Ancora pochi giorni … poi si riparte. Sentire le urla addosso, il brusio degli spalti gremiti, l’ansia nell’attesa del match, tutto questo già ci manca.
Ad una manciata di settimane da quel pomeriggio, da quella partita, quella difficile rincorsa a cercare di acciuffare all’ultimo istante, il filo di un aquilone che stava per volare via. Negli occhi ancora riflessa l’immagine di quel cerchio nero-verde di ragazzi veneti che si abbracciano a centrocampo. Ancora nella mente, il ricordo di quei cinque minuti negli spogliatoi quando, sotto la doccia scorrono veloci le innumerevoli azioni, gli scatti, le folate lungo la linea laterale, le mischie, i voli in meta. In cinque minuti il film di un campionato indimenticabile. Dopo la doccia, il terzo tempo. Sulla faccia di tutti lo sguardo stanco, provato dalla fatica, ma sulle labbra, il sorriso di chi ce l’ha messa tutta.
Il sorriso di ragazzi semplici, senza fronzoli che vogliono riprovarci, senza presunzione, con la voglia e l’umiltà di contrapporsi all’avversario, giocando come sempre hanno saputo fare, con caparbietà e determinazione. Adesso basterà scostare con la punta del dito, quel filo di polvere posatosi sulla borsa, aprire la cerniera, tirare fuori le scarpette, cogliere il riflesso sull’acciaio dei tacchetti, riscoprire in bocca il gusto di gomma del paradenti, sentirsi l’adrenalina giallorossa che sale, il vuoto allo stomaco, il profumo dell’erbetta umida. Si riparte. Tutto ricomincia il 4 ottobre. Ancora squadre lombarde, piemontesi, liguri. Ancora trasferte, corse in pullman, biglietti aerei.
La nebbia, il freddo umido della pianura padana, le soste in autogrill. Le alzatacce la domenica mattina, il rientro la notte tardi ed il cantiere, l’ufficio, la scuola, il lavoro che aspetta l’indomani mattina. Le gambe a pezzi, ancora la sensazione del fango sulla pelle, le mani indolenzite, la testa tra le nuvole. I colleghi che chiedono, una sbirciata al giornale per vedere se c’è un articolo su di noi e la stanchezza addosso che non ti fa concentrare abbastanza su quello che fai. Eppure tutto questo già ci manca. Bisogna riprovare, ricominciare. Ancora ventidue partite e per ciascuna ottanta minuti per piegare l’avversario, per ciascuna ventidue atleti, quindici in campo e sette in panchina, per ciascuna i giusti ingredienti, la giusta miscela, le invenzioni ed il sudore, la magica sensazione di potercela comunque fare.
Senza piangerci addosso. Perché lo sappiamo che siamo sardi, siamo in un isola, perché c’è la crisi, perché per noi è tutto più difficile… Lo sappiamo. Per questo, per noi, tutto è più bello, ogni meta è sudata, veramente. Perché dobbiamo partire, andare a prendercele le vittorie, su campi circondati da monti innevati, senza il tempo giusto per riscaldarsi. E quando vinci e vinci lì, la soddisfazione ripaga di tutti quei sacrifici, delle tante sere passate al campo ad allenarti, a volte a scapito degli altri interessi, della famiglia.
Per questo vale la pena ricominciare. Per questo e per tutte quelle persone che aspettano, già sedute, lì sulle gradinate, quel fischio di inizio, che già aspettano l’ingresso in campo e che vogliono ancora una volta e per chissà quante volte ancora urlare insieme, vogliono vivere quella intensa ed unica sensazione che solo la domenica pomeriggio al campo di via Trento sa loro riservare. Per quella gente. Quella gente che anche quando perdi ti consola. Quella gente che come sempre correrà e suderà insieme alla squadra, cercando di disorientare con le finte l’avversario, cercando di piazzare tra i pali la palla che conta, quella che decide il risultato, all’ultimo minuto. Quella gente che ha voglia come te di accendere le luci di questo grande spettacolo, di questa lunga, incredibile gara, che vuole portare insieme, oltre la linea bianca, per l’ennesima volta, quella palla dai rimbalzi strani, quella palla che molti chiamano semplicemente ovale.

Antonio Falda

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