Dj Gruff, l’attitudine del maestro

Ha il nome di dj Gruff la storia hip hop italiana.
Virtuoso dello scracht dalle abili mani che traducono in ritmo pensieri, sensazioni, emozioni che non hanno prezzo e soprattutto non sono in vendita. Una capacità di vivere la musica, di sentirla dentro, di trasformare le parole in poesia, che gli è valsa l’appellativo di Maestro.
Il dottor Gruffetti non smentisce la sua attitudine al rap anche nel suo ultimo cd Sandro O.B. L’ennesima dimostrazione di Stile.
Amato e odiato per le sue dichiarazioni, Gruff non si scompone: la musica è il suo mondo.

Lo incontriamo all’ European Jazz Expò, dopo un live da standing ovation con Gavino Murgia, Momak e jazzisti di fama internazionale.

Quanto c’è ancora in te della Sardegna?
Sardissimamente sardo – nel bene e nel male.
Dicono che i sardi siano delle “teste dure”. Tu hai sempre seguito un tuo percorso, non sei mai sceso a compromessi. Ti ha penalizzato questa scelta?
Ho fatto esaurire svariati professionisti del marketing. Ho strappato più di un contratto con multinazionali di primo livello, rockettari più pettinati della Barbie… buoni giusto per la televendita di cose inutili. La mia attitudine è sardissima. Mentalità da montanaro, isolamento come vacanza premio definitiva. Forse se avessi evitato di cacciare il veleno ora sarei una delle infinite figurine in modalità meretrice, sorridente dentro una scatola luminosa piena di foche ammaestrate, in competizione con un branco infinito di facoceri tonti.
Ma se avessi evitato avresti perduto una parte di te… Negli anni ‘90 facevi parte dell’ Isola Posse All Star: la situazione politico-sociale italiana era piuttosto critica. Pensi abbia influito nella tua crescita professionale e personale? La politica e le ideologie dovrebbero stare al di fuori della musica?
Non sono capace di parlare di politica non mi spiego certe pantomime. Stanno tutti dalla stessa parte, non esiste un dibattito reale. Gli Ipas hanno sicuramente influenzato il mio pensiero ma non sono riusciti a farmi interessare alle direzioni. Così come io ho “straquantizzato” la loro musicalità ma non sono riuscito a farli funky come avrei voluto.
Hai fatto parte dei Sangue Misto, ancora oggi considerati uno dei gruppi hip hop italiani di riferimento: perché vi siete sciolti? Ha influito la pirateria? Che ricordi hai dei tuoi compagni di viaggio e di musica di allora?
Ricordi ottimi, mille risate, cose senza senso – non ripetibili. Stupendi Deda e Neffa. Ogni tanto “svariono” sul come potrebbe essere diventato oggi il Sangue Misto. Avevamo idee diverse, abbiamo idee diverse, pazienza! La pirateria all’epoca non vi era. Per quanto riguarda il “siamo ancora considerati…” forse negli anni ‘90 ci poteva pure stare il fatto del gruppo di riferimento.
Secondo il mio punto di vista il livello è salito di cento volte tanto. Mi interessano i fatti – credo sempre meno alle dicerie specie quando si parla di rap. Il rap è una questione di rap, non va a convenienza né a simpatia. Si tratta di attitudine.
Sono passati più di vent’anni dai primi dischi come la Rapadopa, a 0s3ss (Zero Stress), a quelli più recenti come Tiffititaff, Karasau Kid, Lowdy 82/03 e Sandro O B, uscito poco tempo fa: c’è stata un’evoluzione tecnica rispetto agli esordi?
I vari Tiffititaff Karasau, etc etc, sono tipo mixtape screcciatissimi registrati intorno al 2000 (robetta). La Rapadopa è del 92… facevo malissimo il rap per non parlare degli screcci… 0s3ss idem. La cosa buona della Rapadopa e di 0s3ss furono le infinite collaborazioni. L’evoluzione da quando ho iniziato ogni giorno è sempre meglio, a Dio piacendo. Infatti non vedo l’ora che sia domani per sentirmi suonare più nuovo.
C’è un disco o un singolo a cui sei più legato?
Quello che sto facendo ora sperando di riuscire a finirlo. Ma è quasi sicuro che lo cestino poi formatto tre volte per sicurezza.
Alcune tue dichiarazioni su chi sono i veri bboy hanno fatto discutere e creato delle vere e proprie scuole di pensiero. Oggi esistono ancora quei bboy o il vero significato si è perso negli anni?
Un bboy era, è e sarà uno che brekka, null’altro.
Sei d’accordo nel vedere in Italia una scena hip hop divisa in due: una puramente commerciale, l’altra invece troppo nascosta per emergere?
La prendo in contromano. Commerciale, underground, leggera, pesante, impomatata, semplice, fusion, cross over, folk pop… parole vuote. Credo che non sia questione di commerciale o underground… tra l’altro (underground al limite sono le patate, il fileferru, i tartufi o che ne so… il tesoro di capitan findus) la vispa teresa se non erro volava, la bottega del più ladro è sempre aperta, la mamma del più scemo è sempre incinta. Poi si parla sempre di cultura, la cultura di Tizio, la cultura di Caio (voi li avete mai visti ‘sti Tizio e Caio?) io no. Prima di tutto la lasagna di ogni nonna è cultura nella semplicità, capito mi hai? Credo sia questione di mostrarsi per quello che si è – accettarsi per quello che si è. Uno è giustamente libero di fare lo stupido, così come gli altri saranno liberi di prenderlo sul serio o meno. Stupido è chi lo stupido fa, scena nascosta o in bella vista – se sei un pollo sei un pollo, come disse Sandrone (Ekspo) di Napoli: «non è detto che sei underground solo perché non ti conosce nessuno: nessuno ti caga fratello». Bisognerebbe forse aggiornare i vari scopritori di talenti nazionali, in questa terra di poesie e di quadri si spacciano tutti per artisti, d’altro canto con l’arte ci si possono fare un botto di soldi, vi è grossa crisi. Comunque sia prima viene la persona poi, se è il caso, l’artista. Al momento non ho ancora capito l’artista in generale. Mi concentro sulla persona, in questo caso sulla mia. Commerciale o nascosta, basta che sia musica, se è di musica che stiamo trattando.
Esiste una scena hip hop sarda?
Credo proprio di sì. Ho visto mostri volanti con lo stile più estremo.
Milano, Bologna, Tokyo… viaggiare è una costante della musica che ti permette anche di vedere le cose in modo diverso, di crescere artisticamente. Una sorta di finestra sul mondo per capire cosa ancora ci manca come persone, come cittadini o semplicemente come regione. Ecco, secondo te, quale percorso deve compiere ancora la Sardegna per crescere e aprirsi all’arte e alla musica?
La divisione ritmica sarda la trovo spettacolare. Nel mio piccolo cerco di portare avanti questo tipo di andamento. La mia musica prima di tutto è sarda, o per meglio dire, il mio arrivo è alla musica sarda. Sai che forse non ho capito la domanda! Secondo me la musica dell’isola va bene così come è. A proposito di musica sarda, sto iniziando a sviluppare la mia argia. Lì ci sono le chiavi per entrare dentro i portoni che cerco da sempre, mi è capitato di suonare in modalità pizzica. Ci ho trovato molte cose in comune con l’argia. Poi mi hanno confermato che le varie tarantelle continentali vennero fuori circa mille anni dopo la cura sarda. Tutto merito/colpa della segale cornuta! Mo’ che ci penso vedrei bene un incontro musicale tra la Sardegna e Okinawa, per un magico meravigliarsi a vicenda. Non oso pensare all’imbriakera di massa!

Il lavoro con i Menhir è stato un vero successo: hai in cantiere altre collaborazioni con artisti sardi?
Ho un paio di sogni da realizzare ma meglio parlarne quando sarà il momento. Invece con i Menhir come prima più di prima. Vi è amore reale.
Parlaci del tuo nuovo disco SANDRO O B.
Ti liberi coi libri / dove vibri / col palpito di un colibrì. Non mi intendo di poesia. Al momento posso spiegarla così: le nuvole non sono fatte di ali le ali sono fatte di nuvole.
La poesia è troppo alta per poterla catturare. Forse ci si può arrivare vicino. La ricerca di un dialogo con Dio resta in ogni caso la migliore delle ipotesi.
Poi vi è il thaaa vi è il fresh…
Il rap è un’attitudine che non hai mai nascosto di possedere: non temi che sia questo il tuo aspetto a renderti una figura che divide chi ti ascolta, che fa discutere e che spesso viene giudicata a priori ed erroneamente come presuntuosa?
Il rap è presunzione fino a quando non accade.
Un pensiero per i lettori di ArtReport.
Cosa si dice in questi casi? Ho cominciato da poco a rilasciare interviste! Vi dico un fatto che ho imparato in Nihon: «la molla si fa più piccola per ottenere una maggiore spinta».

Nel bene, Sandro Orrù.

di Bettina Camedda

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