Studenti africani aggrediti: uno finisce in ospedale, denunciati i bulli

Tre studenti africani aggrediti e minacciati a Capoterra: bullismo misto a razzismo. Uno di loro finisce in ospedale e rischia la vita, scatta la denuncia ai carabinieri in una storia inquietante. Avevano terrore di andare a scuola. Perché tutte le volte che passavano in piazza Verde a Capoterra, tre studenti, due di origini tunisine ed una del Senegal, ma ormai cittadini italiani, venivano aggrediti dai bulli loro coetanei. Tutti frequentano la scuola media Costantino Nivola. Bullismo misto a razzismo. Vivacità eccessiva che sfocia in molestie con lancio di pezzi di pane e acqua accompagnati da frasi come: “Mangiate morti di fame e lavatevi”. I bulli tiravano i capelli a una delle tre. Per forza Stefano, lo chiamiamo con un nome di fantasia, ne prendeva le difese. E ancora frasi di disprezzo e parolacce. Uscire di casa per Stefano e le sue due amiche era diventato un incubo. Vissuto in silenzio perché minacciati di non parlarne con nessuno, altrimenti sarebbe scattata la vendetta ancora più grave. Stefano tutte le volte interveniva per difendere le amiche dalle angherie dei bulli e tutte le volte scoppiava di rabbia perché impotente di fronte a tanta prepotenza. Lunedì 29 aprile non ce l’ha fatta più, all’ultima ora di lezione è crollato. Collassato. E nonostante i docenti cercassero di rianimarlo, non si riprendeva. Diventava sempre più freddo e cianotico. Il personale della scuola allerta il 118 e i genitori. Arriva l’ambulanza, senza il medico a bordo. La situazione è grave. Non si tratta di un semplice svenimento. Più tardi arriva la medicalizzata e viene trasportato a sirene spiegate all’ospedale Macciotta di Cagliari. I sanitari riescono a rianimarlo e resterà ricoverato per circa dieci giorni. Sincope, c’è scritto nel foglio di dimissione dell’ospedale. Nel frattempo, all’interno dell’edificio scolastico scoppia il finimondo e parecchio spavento per tutti. I genitori sono ancora sotto shock: “Vedevo mio figlio steso sul pavimento e mi sembrava morto, aveva le mani fredde e non reagiva quando gli parlavo – racconta in lacrime la madre – ci dicevano che non si salvava, che se ne stava andando. Mio marito è crollato, è diabetico, i medici hanno dovuto assistere anche lui. Piangevamo disperati implorando Dio di aiutarlo. Si è sentito male intorno alle 13 ed è stato trasportato all’ospedale alle 14.40. Un’ora e mezzo buttato nel pavimento di un’aula scolastica. Fortunatamente è andata bene. Ora è a casa ma deve proseguire la cura. Troppa rabbia si è tenuto dentro senza lamentarsi e parlarne con noi perché più volte minacciato. Pochi giorni prima di sentirsi male non ce l’ha fatta più e ne ha parlato in casa. Mio marito, senza farsi notare li accompagnava a scuola. Ha beccato i bulli mentre insultavano mio figlio. Hanno capito che c’era il genitore e sono scappati. Un sabato mattina, sono intervenuta io con una di loro. Ma con tono spavaldo e con la sigaretta in bocca, mi ha preso a parolacce. Sono dovuta andare via. Dal giorno sono scattate le ritorsioni nei confronti di mio figlio e delle due amiche, perché a loro dire era uno spione che si nascondeva dietro mamma e papà. Lui a soffrire in silenzio perché solo e impotente di fronte ad un gruppo scalmanato e minaccioso. Abbiamo cercato di parlarci, di contattare le famiglie, è stato tutto inutile. Gli insegnanti, su questioni che capitano fuori dalla scuola pare che non possano intervenire. Così, non ci restava che subire. Una mattina non ce l’ha fatta più ed è crollato ”. La clinica pediatrica di Cagliari ha fatto partire una denuncia al tribunale dei minori e i genitori l’hanno presentata alla caserma dei carabinieri di via Bologna. Pare che siano intervenuti anche i servizi sociali del Comune e un bulletto dello scalmanato gruppo è stato anche trasferito da un plesso scolastico ad un altro. “Noi abbiamo perdonato – continua la mamma – ma siamo amareggiati perché nessuno dei loro genitori si è presentato a chiedere scusa e questo ci fa soffrire. Dobbiamo vivere come fratelli, aiutarci e stimarci perché anche se nati o vissuti in altri Paesi siamo tutti figli dello stesso Padre celeste. Mi auguro che Dio illumini i ragazzi che hanno fatto tanto male a mio figlio, alle sue amiche e si rendano conto in modo che non facciano vivere le pene dell’inferno più a nessuno. Noi siamo originari della Tunisia, ma viviamo a Capoterra da più di vent’anni. I miei figli sono nati qui e siamo cittadini italiani. Ci troviamo bene, siamo integrati. Fortunatamente, questi fattacci sono isolati”. Nella foto, l’intervento dell’ambulanza nella scuola di Capoterra.

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