Capoterra nel 1835 – V. Angius e G. Casalis

Questa è una delle 570 voci sarde (tra toponimi e lemmi), quasi tutte compilate da Vittorio Angius, comprese nel “Dizionario geografico-Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna”, curato dell’abate Goffredo Casalis e uscito in 28 volumi e 31 tomi a Torino, presso Maspero libraio e Cassone Marzorati Vercellotti tipografi, nell’arco di 23 anni, dal 1833 al 1856.

CAPOTERRA, villaggio della Sardegna nella provincia di Cagliari, nel distretto di Siliqua. Comprendevasi nel dipartimento Norese dell’antico giudicato di Cagliari.

Nel 1550 questa, come tutte le altre popolazioni del suddetto dipartimento, giaceva estinta, e giacque fino a che nel 1655 D. Girolamo Aragall e Cervellion ebbe conceduto certe buone condizioni ad alcuni uomini del Logudoro e della Gallura, che non s’ardivano ri­tornare nelle proprie case, ed esporvisi alla vendetta dei loro nemici.

Sta sulla falda dei monti presso lo stagno e il mare incontro alla capitale, in distanza di ore due e mezzo.

Sono case 185 costrutte a mattoni d’argilla crudi di brutto aspetto, e nell’interno poco salubri e comode; tra le quali è ancora a vedere parecchie delle capanne che accolsero i primi coloni. Il clima è temperato; ma l’aria in alcune stagioni sperimentasi depravata dagli acquitrini delle terre basse lunghesso stagno. Non poca parte di tanto male è pure da questo, le cui spon­de sono di poche miglia rimote.

La popolazione (anno 1835) sommava ad anime 820, distribuite in famiglie 170. Nascevano nell’anno 30, morivano 16, e si celebravano matrimoni 7. Nelle ordinarie malattie sono febbri periodiche, infiammazioni ecc., e per esse, mancando l’opera dei medici e chirurghi, sotto quella di imperiti flebotomi alcuni succumbono nel fiorir della età.

Qui uomini e donne poco si curano della pulitezza. Quelli sono armigeri, di buon umore, inclinati all’amore e al vino, e generalmente poco rispettosi delle altrui proprietà. Molti lavorano a provveder la capitale di legna sottili e fascine, che vi mandano su i navicelli. Con essi alcuni uomini di Quarto brucian legno a carbone, onde avvien loro qualche lucro. Questo cresce con la vendita della sala e dei giunchi che in sulla estate tagliano o strappano dalla Tuerra, e delle sanguisughe che in grandissima copia prendono nelle acque della medesima.

Risiede in questa terra il delegato di giustizia con giurisdizione sopra Sarroco. Dal 1816 vi furon mandati in stazione de’ soldati di fanteria. Alla istruzione non concorrono più di 5 fanciulli.

Questa parrocchia è sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari. Il sacerdote che l’amministra si qualifica rettore. Nel popolato non v’ha che una sola chiesa sotto la invocazione del glorioso martire S. Efisio. Essa è minor dell’uopo, siccome quella che era stata dal barone edificata a suo oratorio, non per parrocchiale. Quindi disegnossene un’altra di solida e miglior architettura in luogo più comodo. Il campo santo, che è l’antico cemeterio, è contiguo alla detta chiesetta. Nella campagna esistono altre due chiese, una appellata da S. Barbara che si edificava nel 1281, dove un cotal frate Guantino con altri compagni menava vita eremitica. La quale sorge sopra un pianerotto in mezza la pendice orientale del monte, luogo di un’amenità deliziosa, e di estesa vaghissima prospettiva per mezzo l’orizzonte da tramontana ad ostro per levante dove apparisce in bella scena la catena cagliaritana in là del mare con la città capitale che vi si specchia, e in fondo gli alti monti del Partiolla e la continuazione sino a Carbonara, onde comincia a vedersi il cielo basato sul mare. I frati francescani v’hanno un ospizio fin da quando cessero la bella antica chiesa della Vergine di Monserrato in Uta all’arcivescovado di Cagliari (vedi l’articolo Uta). L’altra sotto l’invocazione di S. Girolamo trovasi nella parte inferiore del monte in una valle pittoresca, per dove scorre il Cioffa, quasi sulla linea da Capoterra a S. Barbara. I frati osservanti vi ebbero un ospizio circa il 1640; poscia vi si pose un titolo canonicale. Alcuni signori di Cagliari edificarono in uno ed altro sito delle case, e vi si stavano ne’ bei giorni a goder dell’aria campestre, e della caccia. Il sito di S. Girolamo è presentemente men pregiato. Dista da Capoterra la S. Barbara per un’ora, il S. Girolamo per mezza. Nella memoria de’ due titolari era in addietro grandissimo concorso.

Due volte solennemente festeggiasi in Capoterra, una per la Vergine del Rosario nella prima domenica di maggio, altra per l’Arcangelo Michele addì 29 settembre, con corsa di barberi. Nella prima è da vedere mentre portasi in giro il simulacro della Vergine una lunga schiera di buoi aggiogati con le corna infiorate, nella fronte vezzi femminili e specchietti, e nel collo serti di erbe verdi e odorose; cui succedono i confratelli, sopra i quali viene l’adorata immagine col prete, quindi un codazzo di uomini e di donne in due cori. Quando si passa presso la casa del devoto (così è detto colui che fa le spese della festa), i buoi sono adornati in ambe le corna con pani di sappa a cerchio (coccòis) che vi si inseriscono, riconoscenza a chi conduce il giogo; i confratelli sono rigalati essi di consimili pani, e quattro grandissimi se ne appendono alle quattro branche della barella del simulacro, dono al prete. I poveri non sono dimenticati, che trovano preparato il pranzo presso il festeggiante. Ammirasi la sontuosità del gran convito per le persone tutte del parentado, e amiche.

Il territorio di questo comune è molto esteso, in parte piano, in parte montuoso, con le roccie granitiche. Ai terreni vicini all’abitato meglio si confanno le viti che i cereali. Si seminano starelli di grano 350, d’orzo 500, di fave, civaie, e lino piccola misura. Il vigneto occupa d’un giorno in altro nuovi spazi. I vini sono per forza e delicatezza non inferiori a quelli, che vengono dalle terre più vantate in Sardegna per questo prodotto.

La Tuèrra. Così chiamasi nella lingua de’ sardi una terra bassa umidosa, solcata da un corso d’acque, e fecondata così dalle inondazioni, che vi si ammiri una vivacissima vegetazione, e così è detta una siffatta terra sotto il paese per la sponda dello stagno. In essa e presso, e a non maggior distanza d’un’ora sono molti poderi. Dai suoi canneti si provvede agli appaltatori delle peschiere; dai prati naturali si ottiene un copiosissimo foraggio, che vendesi nella capitale sino all’estremo giugno.

La Tanca di Nissa; titolo di marchesato per un cadetto della casa Villahermosa. Questo gran podere segue all’austro della Tuèrra, anzi è una sua continuazione. Della cui amenità e fertilità, massime soccorrendo un’arte bene intesa, si dovrebbero dire le meraviglie. Vi si fa seminazione di cereali, e piantagione di tabacchi. Nessun luogo migliore per una cascina, e questa vi fu costituita, formati alcuni prati irrigabili con l’acque derivate per maestrale dalla piscina di D. Giauru nella Tuèrra. Molte cavalle, gran numero di tori di razza, e di buoi vi stanno a pastura. Il Rio-lungo termina a mezzodì questa terra.

Bestiame. Nel manso si numerano buoi 150, cavalli 30, giumenti 140. Nel rude, vacche 400, cavalle 200, pecore 3000, capre 4000, porci 1000. Il latte e il formaggio smerciasi nella capitale. Le arnie sono coltivate in alcuni orti.

Selve ghiandifere. Le principali nelle regioni Bacu dess’alinu, is Barachèddos, Monte-Marcis, S’Arridèli, Xillàdos: in totalità dà 3 milioni individui.

Acque. Avvi moltissime fonti, e le più di acque buone. Sono però verso le altre più lodate la Bramanti in Is barracheddos, e Sa Scabizzada presso il romitorio di S. Barbara entro un folto bosco di mirti, corbezzoli, filiree, lecci ecc., coperta d’un rustico fabbricato in forma di cappelluccia, alla quale i divoti, quando vi si appressano a bere depongono certe crocette di canna fessa o di fuscellini, e dicon essi per evitar le cadute. Perchè scabizzadavale decollata pretendesi che su questa fonte consumasse suo martirio la santa. Ha fama eguale l’acqua di S. Girolamo sorgente nel giardino del barone, dove tra piante silvestri frondeggiano molte specie gentili.

Acqua minerale? Si pretende che una piccola acqua che scaturisce a piè del monte in distanza di un miglio e mezzo dal paese verso maestro-tramontana sia ferrugginea, e di ciò adducesi prova nel suo gusto ingrato, e in una pellicola che vi galleggia, nella quale si riconobbe un ferro carbonato. Qualche medico la prescrisse con vantaggio in alcune affezioni croniche de’ visceri del basso ventre. Viene in questo territorio dai monti di Uta e di Assemini un fiume (su riu mannu), e lo traversa. Nel 1833 il marchese Villahermosa lo deviava, perchè in un bel canale corressero le acque entro Nissa sino alla foce aperta sullo stagno a versarvele incontro alla peschie­ra di Malamura. Il Rio lungo contribuisce esso pure allo stagno alla cui foce era in addietro un porticciuolo ai navicelli per caricarvisi di fascine e di altri generi, quando le peschiere aperte davan libero passo.

Porto della Maddalena e Saline. Questo porto è presso dove il gran banco della plaia tocca il suolo fermo, la qual punta fu ciò che in principio dicevasi Capoterra. Siccome il fondo è basso, però non vi possono approdare che le barche piatte, o i navicelli per trasportare in Cagliari legne, paglia, grano, e altre derrate. Dista dal paese un’ora, e scorrevi da presso la strada reale, onde da Cagliari si procede in Capoterra, Orri, Sarroco.

Attigue a questo porto sono le saline che da pochi anni si ricevean dal fisco.

Antichità. Restano in questo territorio otto norachi; e nella Maddalena sono vestigie di alcune suntuose antiche fabbriche di stile romano, e della via da Cagliari a Nora. Si vuole che non lungi dalla Cioffa sul bivio a Capoterra e a s. Barbara siavi esistito un laboratorio di vetri. Consimil fabbrica parve a qualcuno di riconoscere nella cussorgia di Masoni-Ollastu presso al fiume.

Dei dritti baronali, dei quali molti gravosi, alcuni vessatori, altri intollerabili, non giova ragionarne.

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